mercoledì 5 giugno 2013

Missione è un cuore che ribolle dentro...

Padre Filo è missionario comboniano, il cui motto di vita è "sulla strada con il Vangelo, il pane spezzato e i poveri". Originario dell’Emilia Romagna è “ribattezzato” Loba Loba dal popolo Mbay e Ab'digin (il papà barbuto) dai fratelli e sorelle musulmani. Insieme a tre confratelli vive la sua vita missionaria in un posto sperduto nel profondo sud del Ciad, dove ha vissuto già due anni prima dell’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 2011.

Nella Galilea del suo tempo Gesù di Nazaret soffre come un matto per l’impoverimento della sua gente. Oppresso da tre tasse che schiacciano, indebitato fino al collo, il popolo non ce la fa più. Con un ferreo regime coloniale romano che stronca sul nascere ogni tipo di contestazione e un sistema religioso che alimenta ingiustizia e diseguaglianza, al limite della soglia di povertà, il popolo è smarrito e attorniato da un’atmosfera di morte. Come la donna vedova, simbolo nella Bibbia dei poveri, insignificanti e indifesi, in compagnia degli orfani e degli stranieri. Ha perso tutto, il marito e l’unico figlio. Sono poche le madri che in Africa hanno un solo figlio. Malattie, imprevisti vari, onore sociale e necessità di braccia per i campi dettano l’urgenza di moltiplicare la prole. Intanto la donna di Nain è disperata e piange.

Come il popolo del Darfur, decimato dalle razzie dei “janjawid” i guerrieri a cavallo del presidente sudanese Al Bashir, che vuole fare piazza pulita e accaparrarsi l’oro della regione dopo aver perso il petrolio del sud. Cinquant’anni di vita dell’Unione Africana non sono serviti a molto, se i Paesi non riescono insieme a intervenire e dare soluzioni a conflitti laceranti (Congo RDC, Centrafrica, Mali, Somalia, Darfur...). Dall’inizio dell’anno quasi trentamila sudanesi del Darfur si sono rifugiati in Ciad dove vengono accolti nei campi profughi di Goz Beida, Tissi e Guereda. “Avevo fame, ero nudo, ero forestiero...”. La comunità cristiana di Abeché, che accoglierà presto una nuova equipedi missionari comboniani, si fa carico con coraggio di questi sfollati, provando a fare causa comune con chi ha perso terra e casa. E molti anche familiari, figli o parenti.

Come gli sfollati di Toukra, alle porte di N’Djamena: rischiano di dar vita alla prima baraccopoli ciadiana. Cinquemila persone hanno perso tutto con le grandi alluvioni dello scorso anno e sopravvivono in capanne di paglia e teloni in attesa di un aiuto del Governo, in condizioni indegne di vita, con un caldo sovraumano, senza bagni, con scuole di fortuna crollate con l’ultima tempesta di sabbia e con il rischio delle prossime piogge; provano a resistere, con la forza che può venire solo dallo Spirito, quello di Pentecoste, che abbiamo invocato a lungo nell’Eucarestia sotto i teloni. Una donna ha fatto una preghiera che mi ha ‘steso’ e mi son detto che se il Padre-Madre di tutti non ascolta questa, allora meglio fare le valigie:

   “Papà, noi siamo come il popolo di Israele, schiavi sotto le tende, in situazione indegna, di oppressione, tu ascolti il nostro grido, tu conosci la nostra sofferenza vieni a liberarci dal nostro Egitto e portaci con te nella Terra Promessa...”
Gesù nell’incontro con la donna che rappresenta il suo popolo allo stremo si sente ribollire le viscere, si lascia toccare dentro con l’intensità di quell’amore che solo l’evangelista Luca è capace di dipingere così bene: come il cuore dello straniero (da noi sarebbero i nomadi Mbororo o i musulmani) che si prende cura del moribondo sulla strada (Lc 10,33) e quello del Padre-Madre misericordioso che attende il ritorno del figlio minore (Lc 15,20). Cuori pazzi, capaci di cambiare il corso degli eventi perché osano andare e sognare oltre.

Gesù si avvicina alla bara e la tocca. La sua è una sfida perché cadaveri e oggetti circostanti non potevano essere toccati. Ma la morte non può contaminarlo perché con lui non ha potere. E’ soltanto un passaggio, quello decisivo, per far fiorire in pienezza la vita. Non si diventa impuri nel contatto con la morte o con i diversi. Quando i musulmani, vicini di casa o gli amici della Tenda di Abramo a N’Djamena (centro culturale e luogo di incontro islamo-cristiano) mi invitano a mangiare con loro non esito un attimo a lavarmi le mani, mettermi in cerchio e attaccare il piattone unico. Con la gioia di sentimi un po' di più uno di loro.

Gesù invita il figliolo a ridestarsi, “in piedi” come piaceva a don Tonino Bello (quest’anno ricorre l’anniversario dei 20 anni dalla sua morte) incoraggiare i costruttori di Pace, ridà fiato e speranza al popolo, con una Parola che ha il sapore della tenerezza. Quella di Padre Pino Puglisi (martire e fatto beato anti-mafia da una settimana) con i suoi ragazzi di Brancaccio. Tenerezza capace di riconsegnare alla madre il figlio. Al popolo la sua guida, quel Gesù di Nazaret passato al vaglio dalla passione e dalla morte per dar vita ad un esistenza senza limiti e barriere..

Una storia altamente simbolica quella della donna di Nain. E forse ci siamo dentro tutti, uno per uno, con la voglia matta di rimetterci in piedi e risorgere tornando alla fonte che ha il sapore di Vangelo. Come la comunità cristiana che, sui passi di papa Francesco, prepara la nuova primavera. Dopo il lungo inverno ecclesiale finalmente ci siamo! La comunità di Gesù si rimette in piedi e in cammino con fiducia sulle orme dei martiri che dettano la strada. Con Oscar Romero Lele Ramin (i due in odore di beatificazione) in prima fila...

PAROLA SENZA CONFINI di padre Filippo Ivardi (da missiogiovani)

sabato 20 aprile 2013

Un educatore, un poeta, un profeta, un amico…


(Articolo preso da www.paxchristi.it )
Vent’anni fa, il 20 aprile 1993, attraversava il suo giorno pasquale Tonino Bello, vescovo di Molfetta (dal 1985 presidente di Pax Christi). In questo periodo mi capita spesso di parlare di lui con Salvatore Leopizzi o altri partendo da Tonino Bello maestro di nonviolenza, libro a lui dedicato “con tutto l’amore di Pax Chrisi Italia” Ringrazio tutti gli amici e le amiche che mi hanno portato a lui, in primo luogo, Luigi Bettazzi, Claudio Ragaini, Giovanni Mazzillo,Tonio Dell’Olio, Gianni Novello, Giuliana Bonino, tutti i pugliesi e molti veneti. Ringrazio chi, come “Mosaico di pace”, “la meridiana”, “Luce e vita”, le ed. San Paolo, Paoline, Insieme e Messaggero, è da anni un pulsante cantiere toniniano.
Vorrei concentrarmi brevemente su un ricordo più intimo. Ciò che di lui leggo e medito mi arriva sempre col profumo della novità, col sapore della bontà, con l’odore del suo mare, con lo sguardo di tanti testimoni di pace a partire da Giovanni XXIII, di cui stiamo celebrando il 50° della “Pacem in terris”. Sento di vivere con lui un’amicizia spirituale che mi fa crescere, respirare ed espandere. Lo “vedo” operare dentro l’azione per il disarmo, il bene comune, la costruzione della famiglia umana, la vita ecclesiale, Pax Christi.
Per don Tonino “la nonviolenza è una cultura ancora debole” ma “la pace è un’arte che si impara”: un itinerario formativo permanente che riguarda la ricerca della felicità attraverso la “convivialità delle differenze” che affonda le sue radici nel mistero trinitario: uguaglianza, differenza, relazione. Per questo siamo tutti uguali, tutti differenti, tutti in relazione. E ognuno può fare qualcosa. Questo forse ci manca: camminare insieme!; risvegliare la fresca fiducia nella possibilità di cambiare; sentire la pace non solo come dovere ma come piacere di vivere assieme come membri della famiglia umana; praticarla non solo come lotta tenace, a volte troppo allarmata, ma come movimento di amicizia liberatrice, come impegno alimentato dalla sapienza del sorriso. Ce lo insegna il disegno di un bambino di Molfetta che lo immaginava in piedi su una barca a vela, in una mano la croce e nell’altra la fisarmonica. Quasi l’icona della sua passione nell’annunciare Cristo “nostra pace”, pronto a “mutare il lamento in danza” (Sal 29). 
Splendida la sua preghiera del 1982 (“La lampara”) da cui emerge una vita di fede (“la forza di osare di più, la gioia di prendere il largo”), di speranza (“spalancare la finestra del futuro, progettando insieme”) e di carità (“per chi ha fame e non ha pane e per chi ha pane e non ha fame”) che potrebbe costituire il manifesto sia del nostro itinerario associativo che del cammino ecclesiale.
Sento molto stimolante la coincidenza tra l’elezione di papa Francesco e la memoria di don Tonino. Tra i due sono molte le vicinanze tematiche: una “Chiesa del grembiule” per la lavanda dei piedi; una comunità accogliente ma pronta a “uscire da sè”; la custodia del creato e della bellezza; la pace come dono e impegno; la spiritualità della gioia; la sobrietà e la gratuità; la tenerezza e la profezia. Don Tonino ci manca. Ma la sua assenza non può bruciare se alimentiamo il suo fuoco, il roveto ardente della pace. Sono convinto che non sia solo in mezzo a noi, ma davanti. E che ci stia venendo incontro incontro per osare assieme.Compagno di strada se ci mettiamo in marcia. Beati non perché pensiamo di essere arrivati ma perché stiamo partendo e camminando.
Un fraterno abbraccio. Sergio Paronetto

lunedì 8 aprile 2013

I giovani talenti fuggono all'estero (30%)

C’è un pezzo d’Italia all’estero. Che cresce. Che lavora. Che produce. O semplicemente che tenta di realizzare i propri sogni e mettere a frutto le proprie competenze. Un flusso di persone, di giovani soprattutto, che silenziosamente lascia il nostro Paese. Quell’Italia che non riesce a dare certezze e prospettive, non investe nelle sue migliori risorse, spegnendo la fiducia e la speranza delle nuove generazioni. Così, in tempo di crisi, mentre è inarrestabile lo svuotamento di capitale umano dal Mezzogiorno, si registra un boom dell’emigrazione degli under 40 dall’Italia all’estero. Lo scorso anno, il fenomeno ha avuto un’accelerazione impressionante: gli espatri di giovani fra i 20 e i 40 anni, secondo i più recenti dati dell’Anagrafe della popolazione Italiana residente all’estero (Aire), sono passati dai 27.616 del 2011 ai 35.435 del 2012, alimentando la cosiddetta “fuga” dei talenti (o dei cervelli) dalla Penisola. Un dato che costituisce il 44,8% del flusso totale di espatrio. Lo scorso anno l’emigrazione in generale dalla Penisola ha fatto registrare un +30,1%, passando dai 60.635 emigranti del 2011 ai 78.941 del 2012. A partire sono più gli uomini (57%) delle donne (43%). A livello territoriale è la Lombardia a rivelarsi la regione che maggiormente alimenta l’emigrazione dall’Italia: ben 13.156 lombardi hanno trasferito la propria residenza all’estero nel 2012, davanti ai veneti (7.456), ai siciliani (7.003), ai piemontesi (6.134), ai laziali (5.952). Segno che questa nuova ondata di emigrazione contemporanea non riguarda più solo il Sud. Ma dove vanno gli italiani? Il continente preferito dai 20- 40enni italiani come destinazione di approdo resta l’Europa, che nel 2012 ha assorbito il 69,2% del flusso di espatri degli under 40 (24.530 emigrati). Nello specifico, la Germania si conferma la nazione più attrattiva nei confronti dei giovani italiani tra i 20 e i 40 anni: nel 2012 l’hanno scelta in 5.137. Ed è qui, a Berlino per esempio, che trovano sfogo molte idee e progetti di talenti italiani che riescono a fare impresa senza ostacoli. Al secondo posto la Gran Bretagna (4688), seguita dalla Svizzera (4103). Fuori dall’Europa, la meta più ambita sono gli Usa, scelti da 2192 giovani italiani ma vanno forte anche Argentina (2.058) e Brasile (1.768). Negli ultimi 23 anni, sono 2.320.645 gli italiani complessivamente espatriati dal Paese, 595.586 dei quali appartenenti alla fascia 20-40 anni. Il dato non ha mai smesso di crescere dal 2006, quando il loro numero superava di poco i due milioni. L’incremento degli espatri nel 2012 (+30,1%) rappresenta un vero e proprio boom, mai verificatosi nei precedenti sei anni. Gli italiani complessivamente residenti all’estero al 31 dicembre 2012 ammontavano così a 4.341.156, in crescita di 132.179 unità rispetto all’anno precedente. Un’altra Italia. Fuori dall’Italia. 
(Giuseppe Matarazzo – Avvenire)

sabato 6 aprile 2013

L'agenzia Adnkronos dice no alla parola "clandestino"

Roma - Raccogliendo la sollecitazione di Carta di Roma e la storica battaglia condotta dalla Presidente Laura Boldrini, l'agenzia di stampa AdnKronos annuncia che i suoi lanci non conterranno più la parola “clandestino” riferita alle persone immigrate. Per il Direttore dell’agenzia Marra “l'uso di un linguaggio corretto è sempre importante e ancora di più quando si tratta di fenomeni come l'immigrazione, su cui è facile alimentare paura, xenofobia e razzismo”.

da "Migrantes"

domenica 17 marzo 2013

I missionari salutano il nuovo pontefice


“Il nuovo Papa ci ha detto che l’evangelizzazione suppone zelo apostolico. E che bisogna uscire, andare verso chi ha bisogno, ad annunciare il Vangelo nelle periferie”: così il cardinale Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide, ha commentato l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio, con il nome di Papa Francesco. “Siamo chiamati ad annunziare il Vangelo, soprattutto con zelo, che significa con amore” ha detto il cardinal Filoni, che ha sottolineato che il nuovo pontefice “ci ha esortato a uscire da noi stessi, a non cedere a tentazioni di autoreferenzialità, ma ad andare verso i bisognosi, a portare un annuncio di gioia e di speranza verso tutte quelle realtà segnate dalla miseria materiale e spirituale”. Come cristiani impegnati nell’opera di evangelizzazione “possiamo dare il nostro contributo al ministero petrino, continuando a profondere il nostro impegno con generosità e amore”. Raccontando la sua esperienza in conclave, il cardinal Filoni ha detto: “E’ stato molto emozionante, in quanto si avverte la grande responsabilità. Noi cardinali abbiamo ‘indicato’, non eletto, il nuovo Papa, scelto da Dio. Se Madre Teresa pregava di essere ‘una matita nelle mani di Dio’, per me essere stato un trattino nel disegno di Dio in questa elezione, è stata un’esperienza unica”. Da tutto il mondo sono arrivate dichiarazioni e felicitazioni per la nomina di Papa Francesco, che monsignor Joaquín Sucunza, vicario generale della diocesi di Buenos Aires per 13 anni a fianco del cardinal Bergoglio, definisce “uomo di grandi capacità pastorali, di fede forte, un uomo di preghiera e molto vicino ai sacerdoti, agli anziani, ai poveri, e soprattutto, un uomo che ha sottolineato l'impegno missionario della Chiesa nella nostra comunità e nella nostra città”. Dal Sudafrica, monsignor Josè Luis Gerardo Ponce de Léon, vicario Apostolico di Ingwavuma, missionario della Consolata di origine argentina, ricorda: “ Ho incontrato l’allora cardinale Bergoglio due anni fa quando mi trovavo a Buenos Aires per un periodo di vacanza. Poi gli ho inviato un email, scrivendogli con molta semplicità: “Jorge, dato che sei l’Arcivescovo del luogo ed io sono un vescovo missionario nato nella tua arcidiocesi vorrei poterti incontrare”. E lui mi ha risposto subito “Ho molto da fare ma il tempo lo troviamo”. Siamo stati mezzora nel suo ufficio con grande semplicità e con grande condivisione”.
Monsignor Ponce de Léon dice ancora che: “La scelta del no me Francesco sembra l’indicazione del desiderio del suo cuore”. Infatti “in Argentina è conosciuto come un uomo molto semplice, che cucina
personalmente e che ha invitato a pranzo il suo barbiere”. Il nome del nuovo Papa è un forte richiamo alla
figura del Poverello di Assisi ma anche a quella di san Francesco Saverio, il gesuita spagnolo diventato il più
grande missionario dell’epoca moderna che ha portato il Vangelo a contatto con le culture dei popoli d’Oriente. Così il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo”, da un grande Paese latino americano come
l’Argentina, incarna l’impegno della Chiesa di fronte alle sfide del mondo globalizzato. Don Gianni Cesena a
nome di Missio, Organismo pastorale della Cei, esprime felicitazioni e gratitudine al Signore per la nomina del successo re di Benedetto XVI, Papa Francesco, portatore di speranza e nuovo slancio per l’evangelizzazione.

giovedì 7 marzo 2013

SCONTRI E VITTIME IN BANGLADESH


Qualche giorno fa a Dacca, capitale del Bangladesh, e in altre zone del territorio, a seguito dell’arresto del leader politico Jamaat-e-Islami si sono susseguiti numerosi scontri che hanno portato a 42 vittime e più di 3000 feriti, vedendo la polizia da una parte e militanti di Jamaat (piccolo partito estremista islamico) dall'altra.  Gli scontri – riferisce The New Nation – hanno fatto seguito alla sentenza di un tribunale della capitale con la quale è stato condannato a morte Delwar Hossain Sayedee, vicepresidente di Jamaat-e-Islami, ritenuto colpevole di reati risalenti alla guerra di indipendenza dal Pakistan (1971). Sayedee era accusato di omicidio, persecuzione religiosa e stupro e la sua condanna segue l’ergastolo comminato a gennaio al vice segretario generale del partito Abdul Qader Molla.
A Dacca e nel resto del paese la tensione oggi è alta e le forze di sicurezza stanno presidiando tutti i punti sensibili, comprese le moschee. Jamaat-e-Islami ha annunciato nuove manifestazioni accusando di essere vittima di manipolazioni della giustizia con fini politici. In totale sono sette i suoi esponenti alla sbarra chiamati a rispondere di crimini commessi durante la guerra di liberazione nel corso della quale Jamaat-e-Islami sostenne il Pakistan.
Sono numerosi i missionari italiani presenti in Capitale che in questo momenti vivono situazioni drammatiche e di pericolo insieme al loro popolo, alla loro gente. Missio Giovani, solo lo scorso agosto 2012 ha avuto il piacere di partecipare ad una visita missionaria in Bangladesh, conoscendo ed innamorandosi del popolo bengalese. Oggi nel riportare la notizia in Italia, desideriamo esprimere vicinanza e preghiere per tutto il popolo e per tutti i missionari e missionarie che operano senza sosta sul territorio.
Articolo preso da qui.

venerdì 1 marzo 2013

Mons. Cantafora: "Un'accoglienza senza accompagnamento non è accoglienza"


La Chiesa è stata sempre presente laddove ci fosse un uomo o una donna nel bisogno. E la sua presenza ha preceduto e ha sostenuto l’azione di tante altre realtà. Siamo a conoscenza di quanto accadrà agli immigrati provenienti dal Nord Africa e rientranti nel programma ENA del Governo”. 
E’ quanto afferma mons. Luigi Cantafora, vescovo di Lamezia Terme in merito alla chiusura dell’emergenza umanitaria del 2011 che aveva portato in Italia, in fuga dalla Libia e dal Nord Africa, oltre 60mila persone. A Lamezia Terme circa 400 immigrati da domani si ritrovano senza alloggio, sottolinea il presule parlando ad un seminario promosso dalla Caritas e dall’Ufficio di Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Calabra. 
Non entriamo nel merito del provvedimento – spiega il presule - ma sembra doveroso un pronunciamento onesto sulla questione. Un’accoglienza senza accompagnamento, non è vera accoglienza. 
Quando si accoglie serve non solo offrire risposte adeguate per il presente, ma rendere capaci gli altri di aprire e progettare il proprio futuro. Un immigrato deve avere la possibilità o di entrare nel territorio, attraverso una mediazione e un varco culturali oppure di vedere aperta la possibilità di inserirsi nelle reti dei propri connazionali. Molti di questi immigrati – conclude - non avevano come destinazione Lamezia Terme, eppure sono rimasti qui”.

Articolo preso da qui.

martedì 19 febbraio 2013

PAROLA SENZA CONFINI (padre Paolo Latorre)

Padre Paolo è missionario comboniano, originario di Andria (Bari) sacerdote dal 1999. E' in Kenia dal 2004, ha lavorato nella Baraccopoli di Korogocho dal 2004 al 2011, dopo un breve periodo di studi e spiritualità è ritornato in Kenya (Nairobi) per lavorare nell'ambito amministrativo della provincia.
Se vuoi scrivergli, manda un’e-mail a: paolotlatorre@gmail.com
VANGELO DI DOMENICA 24 FEBBRAIO 2013, II DI QUARESIMA: Luca 9,28-36

CAMMINO DI FEDE

Leggendo e meditando questo passo in cui Luca ci racconta la salita verso il monte della Trasfigurazione, ho immaginato questa salita sul monte di Gesù, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, come al cammino in salita della fede. Questo passo del Vangelo è un’icona chiara e bella che da luce e sapore all’anno della FEDE che stiamo vivendo.
Cos’è la FEDE? Di certo è un DONO. Come quello che hanno ricevuto gli apostoli e soprattutto Pietro, Giacomo e Giovanni che accompagnano Gesù in molte scene ed episodi del Vangelo.
Cosa me ne faccio di questo DONO? Un dono per molti inaspettato, per altri importante, per altri superfluo, per alcuni solo un pasticcio che complica la vita.
Il DONO della FEDE raggiunge il suo obiettivo se diventa DONO per gli altri, un DONO che si fa carne, azione e storia nella vita. 

Qui in Kenya siamo ad una settimana dalle elezioni presidenziali, l’aria si fa tesa, la speranza di un cambiamento che porti benessere per tutti è grande. E’ anche grande la paura del come si vivrà dopo le elezioni. Nel ricordo di molti c’è quello che è successo 5 anni fa (2007-2008). La campagna elettorale è stata dura. Quello che lascia perplessi è la giostra delle alleanze che si fanno e disfano nel giro di pochi giorni. Dei veri e propri “matrimoni politici” che sanno di fallimento già a vedere le facce di chi promette alleanza solo per interesse. Infatti non si fa fatica a capire che le alleanze sono fondate sulla speranza di poter spartire il bottino della ricchezza kenyana. Addirittura ci sono alleanze in cui si è detto “tu fai parte di questa alleanza ma poi al momento giusto giochi questa parte e ti ritiri!!”.
La gente è stanca di tutto questo. Se ne rende conto. Ha pochi mezzi per agire, visto che qui conta la parola del più forte, un forte dal quale c’è da sperare un po’ di buone briciole.
Uno degli aspetti di questa stanchezza della gente nei confronti della tribù dei politici (teatranti non degni di questo nome e realtà importante: LA POLITICA) è che la politica non dice più nulla, ha perso il suo FOCUS che è la relazione al mondo, il trovare la soluzione ai problemi tenendo presente il massimo delle realtà locali, nazionali e internazionali. Una politica che non è RELAZIONE è dannosa come una religione senza FEDE. 
Gesù questo lo sapeva bene, ecco la ragione di questa salita verso il monte della TRASFIGURAZIONE. E’ una salita che non chiarisce le cose per Pietro, Giacomo e Giovanni. E’ una salita che rassicura e dà consolazione che il cammino intrapreso è un cammino di VITA in pienezza. Nonostante Pietro, come me e tanti di voi, tenta di parlare e non sa cosa dire per la confusione, c’è la consolazione che questo cammino ha un senso grande per la vita.

E’ molto difficile scegliere oggi tra le varie scelte di vita e di impegno, meglio non scegliere, meglio lasciare tutto all’inerzia della storia guidata dai soliti potenti di turno!! Meglio arroccarsi sul monte della consolazione come i nostri tre amici che si trovavano così bene che volevano mettere le tende. Ma la VITA ci chiama a tornare sempre alla realtà e alla relazione con gli altri, è qui che si gioca la sfida della vita di ogni uomo e donna in questa ecumene di complessità e di grande diversità di ricchezze.
Un altro aspetto importante di questa salita al monte della Trasfigurazione è il messaggio di integralità della fede per la vita e la storia. Come DONO prezioso la FEDE è un dono per tutto l’essere umano, in tutte le sue dimensioni. Come diceva Paolo VI nella “Populorum Progressio”, se la salvezza che Cristo ci annuncia non è salvezza integrale, per tutto l’essere umano, allora non può essere salvezza. In questo tempo di secolarizzazione (tempo duro, ma importante per la Chiesa) si rischia di vivere certi aspetti della vita (la relazione con le cose, l’economia, la globalizzazione, la diversità di pensiero e di religioni...) come se la FEDE non bastasse, o non centrasse nulla.

Portando con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, Gesù vuole indicarci l’integralità del vissuto della fede. Infatti questi tre Discepoli rappresentano la complessità e poliedricità dell’essere umano e della realtà. Solo la relazione con Dio (FEDE) e la relazione autentica con gli altri (DIALOGO) possono aiutarci ad affrontare e guardare questa complessità e poliedricità della vita. Forse è questa capacità che ci manca, che manca alla tribù dei politici per essere presenti nella storia in modo credibile e significativo.

Quel modo significativo che hanno vissuto Pietro, Giacomo e Giovanni dopo aver affrontato il CAMMINO della FEDE e l’invito a SCENDERE nella REALTA’ per viverla in pienezza e in condivisione con i loro compagni di viaggio.
Barikiwe
padre Paolo
Mccj
da Nairobi

Newsletter MissioGiovani n°12 2012/2013

mercoledì 13 febbraio 2013

La quaresima e la nuvola

Se la Quaresima non ci fosse nell’anno liturgico occorrerebbe inventarla. E prima ancora che per i cristiani... per gli uomini del nostro tempo, per questa fase storica che il nostro Paese sta vivendo ma anche per l’intero Occidente. Può sembrare ardito, forse un rigurgito di orgoglio. Eppure la Quaresima, che è un tempo eminentemente liturgico, risulta un dono alla società, alla nostra cultura. Parole come conversione, penitenza, digiuno e carità non ci appartengono in modo esclusivo. Esprimono atteggiamenti dell’animo, bisogni dello spirito e del corpo, ossia della persona, da essere un patrimonio umano. Andiamo alle loro radici, anzi all’unica radice che li giustifica anzitutto in ambito cristiano. È Gesù Cristo, la sua passione e morte che culminano immancabilmente nella risurrezione. Per noi significa fede e non una ideologia o un semplice aderire a dei valori. “All’inizio dell’essere cristiani - ci ha ricordato Benedetto XVI - non c’è una decisione etica, una idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona”. Come dire che la Quaresima in quanto conversione è tornare a convergere in Cristo. È ripresa di fede, anzi di consapevolezza del dono ricevuto della fede. Il principio fondante la vita del credente cristiano è Cristo. Si dirà che è lapalissiano per i credenti. Ma pur i credenti subiscono la distrazione dall’essenziale, anche quando sono cristiani dell’impegno. E di Cristo ne ha bisogno la nuvola di questo tempo, che ha perso chiarezza d’intenti, di fini, di priorità. Nuvola perché sembra che non sappiamo come italiani e come europei da dove veniamo e particolarmente verso dove dobbiamo dirigerci. In Cristo vi è un senso fondamentale della vita, che Gesù ha interpretato in maniera assoluta. Si chiama amore, carità. La fede nasce dall’amore e genera amore. Che cosa domanda la gente alla politica, ai partiti, ai movimenti, alle alleanze in questa drammatica campagna elettorale? Amore e dedizione per questo Paese. Il che esige una conversione che ponga al centro la persona, la famiglia, il lavoro, l’economia intesa come attività di valore sociale e non individualistica. Sembra poesia, detto in questo modo. Ma guarda caso questo cambiamento, che in termini cristiani prende il nome di conversione, esige la confessione di un peccato, anzi di tre peccati simbolo, rappresentativi del male che è ben esplicitato nelle tre tentazioni a cui si sottopone Gesù. È il fascino perverso di tre poteri: quello politico (ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni), quello economico (dì che queste pietre diventino pane), quello religioso sostituito dalla propria ragione (essi, gli angeli, ti sosterranno). Non è vero che necessitiamo di politici che badino a noi e non a se stessi e agli interessi di riferimento, d’imprenditori e banchieri con lo sguardo alla giustizia, di dirigenti e di scienziati che non pensino di essere Dio impadronendosi del genere maschile e femminile, del matrimonio, dell’inizio e della fine della vita. Attenzione però che queste brame non sono solo dei potenti. Esse s’annidano dentro ciascuno di noi. Cristo ha vinto le tentazioni con la preghiera. Indispensabile per i cristiani; fondamentale per tutti, laici compresi, quale pausa dello spirito, per ridonare umanità, autenticità. Essa deve accompagnarsi al digiuno e alla penitenza. Digiuno non come dieta ma quale presa di distanza dal potere del corpo su di noi. Penitenza come controllo del desiderio da cui nasce tanto il bene come il male. Non sono però in funzione di se stessi, quasi a mortificarci nelle nostre aspirazioni. Insieme alla preghiera servono a prepararci alla carità. Madre Teresa con le sue sorelle cominciava la sua giornata di soccorso ai poveri da una lunga adorazione. Giovanni Bosco, il santo della carità educativa, traeva forza nella sua nuova pedagogia per i ragazzi di strada e poveri, dalla preghiera notturna. Ugualmente sant’Ambrogio per la sua carità politica. Bernadette Soubirous visse di preghiera perché Lourdes divenisse il luogo della consolazione dalla sofferenza. Si perda tempo nella preghiera accompagnandola dal digiuno e penitenza perché da lì nasce la carità e il cambiamento di un Paese come della propria famiglia. 
(Bruno Cescon – SIR)

lunedì 11 febbraio 2013

Migranti, cittadinanza e accessibilità alla nostra società: un convegno ieri a Roma


Roma - Come si pone la società italiana nell’incontro con l’Altro? Siamo davvero così accoglienti come pensiamo, o molto di più si deve e può fare? A queste domande hanno risposto ieri il linguista Tullio De Mauro e il giovane Jojo, trentenne romano di origine eritrea. Fondazione IntegrA/Azione li ha messi a colloquio per esplorare l’accessibilità e la comprensibilità degli universi simbolici di identificazione. E cioè la lingua, i costumi, l’ambiente, la gestualità quotidiana, la ritualità che costituiscono le basi dell’identità culturale di ognuno. Tullio De Mauro e Josef Yemane Tewelde, questo il vero nome di Jojo, si sono incontrati sul palco del Teatro stabile d’Essai Due Roma. Il singolare appuntamento, dal titolo “Abitare i luoghi, abitare i linguaggi” vuole far emergere con forza tutte le contraddizioni che si annidano nel complesso processo di incontro e dialogo tra culture differenti. L’idea nasce in seguito alla pubblicazione della Guida Cittadinanza, un piccolo manuale (pagg. 156) tradotto nelle lingue straniere più diffuse (inglese, francese, arabo) e arricchito con molte immagini. Il testo vuole rappresentare, per chi è appena arrivato, un aiuto nella gestione autonoma della quotidianità e nel reperire facilmente le prime informazioni sul territorio, sull’ingresso e il soggiorno in Italia, sui documenti, sui servizi sanitari e sul sistema di protezione e tutele. “La presenza di cittadini di origine straniera in Italia – dichiara Rossana Calistri, direttore di Fondazione IntegrA/Azione - è in costante crescita, sono 5 milioni, molti di più se si considera quelli non censiti. Numeri importanti se si pensa a quante centinaia di persone si riversano sul nostro territorio in cerca di risposte, uomini e donne costrette a ricollocarsi socialmente in un ambiente estraneo e spesso criptico. Il compito di una società che sia davvero capace di accogliere sarebbe quello di intraprendere un primo passo verso l’altro, portando i cittadini stranieri a conoscenza dei loro diritti. Un primo passo necessario per garantire a tutti eguaglianza e libertà”. Perché questo accada – secondo Fondazione IntegrA/Azione - è importante pensare la mediazione come processo portato avanti dalle persone che elaborano, di volta in volta, diversi strumenti e strategie per entrare in relazione con gli altri, ognuno dei quali diverso da sé perché portatore di un mondo particolare.
Articolo preso da qui

martedì 5 febbraio 2013

Il concilio apre la chiesa al mondo: prospettive per la pastorale dei migranti


Non necessariamente occorrono gambe sane per danzare, noi danziamo da seduti


Kambia (Sierra Leone) – 05.08.1991

Carissimi bimbi di Fiorano, che avete fatto la prima Comunione, abbiamo gradito molto la vostra idea di ricordarci nel giorno della vostra festa.
Nelle foto vi abbiamo guardati tutti, uno per uno; ci apparite proprio belli nei vostri vestiti di festa. Guardando bene le vostre espressioni, ci sembrate anche tutti buoni e crediamo che lo siate di fatto.
Grazie per esservi fatti da noi conoscere!
Al momento non abbiamo una foto di noi tutti  da mandarvi, gradite questa con alcuni di noi. Non vi sembriamo belli anche noi? Qui ci vedete vestiti a festa, infatti la foto fu scattata al ritorno da Messa.
Quasi nessuno di noi è Cristiano, stiamo venendo a conoscenza di questa religione attraverso le attività caritative e l’evangelizzazione specifica dei missionari e volontari cristiani che vivono qui con noi. La religione che prevale qui è l’Islamismo. La nostra gente, quando parla e fa commenti sulle diversità delle due religioni, dice che i Musulmani pregano, i Cristiani aiutano il prossimo che è nel bisogno.

Qui al Centro di Riabilitazione siamo in un gruppo di 20, massimo 24. Non essendo molti per turno, ci sentiamo più in famiglia e ciascuno di noi riceve un’attenzione personale. Molti di noi che non potevano reggersi in piedi, ora camminano con l’aiuto di stampelle e apparecchi ortopedici. Altri vengono provvisti di carrozzella.
Impariamo a leggere, a scirvere, a cucire, a lavorare ad uncinetto, a fare scope, etc.
Di noi si prendono cura le Sorelle Missionarie Saveriane, le quali si fanno premura di insegnare alla nostra gente sierra leonese come assisterci in modo adeguato.

La nostra giornata trascorre così.
Ci alziamo alle ore 7:00 e ciascuno di noi si sforza di rendersi autosufficiente per quanto riguarda la pulizia personale. I più piccolini vengono aiutati da noi grandicelli, mentre la donna che ci fa assistenza si dà da fare per asciugare sotto i letti di coloro che durante la notte non hanno avuto un buon controllo dell’acquedotto (sic!).
Ci raccogliamo per un breve momento di preghiera usando la preghiera dei Cristiani: il Padre Nostro. A volte qualcuno di noi aggiunge la preghiera musulmana.
Riceviamo per colazione una granaglia che si chiama “bulgar”, in inglese, a noi piace, soprattutto se nel cucinarla all’olio di palma e sale aggiungono del pepe.
Consumiamo il nostro pasto in fretta, poi ci armiamo tutti di scopini, quelli fatti da noi, e ripuliamo tutto il Centro, compreso il grande cortile. Ci piace sbrigare in fretta questa faccenda dello scopare perché abbiamo sempre un occhio fisso al nostro centro d’interesse: il pallone. Una pallonata tra un’attività e l’altra dà un certo tono!
Alle 8:15 coloro che vanno alla scuola pubblica, e sono in 4, partono con le loro stampelle o vengono spinti in carrozzella. Sono i compagni di scuola che godono salute che vengono a prendere i loro amici handicappati.
Coloro che non seguono la scuola pubblica, si preparano per gli eercizi di fisioterapia. A turno tutti riceviamo il trattamento, mentre negli intervalli ci vengono date lezioni nelle materie sopracitate.
Alle ore 13:00 ci viene preparato un piatto di riso, così pure la sera. Abbiamo tutti i giorni lo stesso menù, è nostro costume africano. Dopo pranzo facciamo la doccia, riposiamo un po’ e poi giochiamo fino a sera eccetto due orette di studio ed attività.
Dopo cena, o al chiarore della luna, o alla luce della lampada a petrolio, ci sediamo in cerchio e ci raccontiamo delle favole. Nel racconto tutti siamo partecipi perché, mentre uno racconta gli altri cantano un ritornello a forma di nenia. Capita spesso che tra di noi c’è qualcuno abile nel suonare il tamburo, allora ci lasciamo andare alla danza. Non necessariamente occorrono gambe sane per danzare, noi danziamo da seduti e poi c’è Santigie che piroetta: gambe per aria e braccia in terra, così, a testa in giù.
Alle ore 21:00 di solito ci corichiamo, felici e contenti della giornata trascorsa insieme.

Spesso le sorelle missionarie ci invitano a ringraziare Dio, al termine della giornata, per quella gente che ci aiuta a vivere in serenità. A sentire loro pare che siano tante le persone generose, grandi e piccoli e tra questi ci siete anche voi.
Siamo contenti di avere conosciuto voi, che siete “cristiani” e quando reciteremo il Padre Nostro vi penseremo.
Usando l’espressione della nostra lingua Temme, vi diciamo: “Mo-moh nu”; grazie a tutti voi. Saluti anche ai vostri Catechisti e al vostro Parroco.
Siamo i bimbi del Centro di Riabilitazione.

Aggiungo i miei saluti, come vostra concittadina. Ho un certo senso di orgoglio per i miei Fioranesi!
Ciao
Agnese Chiletti


domenica 3 febbraio 2013

Nascita e scopo del Gruppo Missionario di Fiorano


NASCITA

Il campeggio delle famiglie tenutosi a Fai nell'agosto 1989 è servito, fra le altre cose, a riconsiderare e fare propria un'idea lanciata dal nostro parroco nello stesso campeggio dell'anno precedente. Questa l'idea iniziale: adottare economicamente un seminarista di un paese cosiddetto "povero".
Bene! Questa iniziativa, anche se in ritardo di un anno, è stata non solo recepita ma è servita ad alcuni per meditare e valutare l'opportunità di creare in parrocchia un vero e proprio "gruppo missionario". Anche se un pò in sordina, eravamo veramente pochi, questo gruppo si è incontrato per la prima volta lunedì 15 gennaio ed ha subito voluto darsi un primo concreto obiettivo: realizzare entro l'estate proprio "l'idea" iniziale, adottare cioè un seminarista indiano.
Tre appuntamenti proprio per raccogliere i fondi:
- domenica 25 febbraio al mattino tra le S.Messe, bancarella da noi allestita e  "farcita"
- il 24 marzo, alla sera, "grande tombolata" (ricchi premi) nel Salone del Pellegrino
- verso la fine di aprile, sempre al sabato sera, grande ritorno della ormai nota compagnia dialettale fioranese "La Fameia"
A questo punto dovrei parlare delle motivazioni che hanno portato alcune persone a volere un "gruppo missionario": credo che un bollettino intero non basterebbe a contenerne neanche una minima parte. Vi aspettiamo quindi numerosi al prossimo incontro lunedì 12 febbraio alle salette (per ora) alle ore 20.30 dopo la S. Messa
In seguito gli incontri si terranno ogni secondo lunedì del mese (probabilmente in nuovi locali).
Dai bambini del catechismo ai nonni della casa di riposo TUTTI hanno importanti motivi per partecipare a idee e ad argomenti su cui confrontarsi e da sviluppare.


SCOPO

Lo scopo del gruppo è di sensibilizzare la comunità alla missione ed alla missionarietà, in particolare aiutare concretamente i missionari fioranesi e sovlgere altre opere missionarie attraverso iniziative programmate dal gruppo stesso.



Bollettino parrocchiale, genniaio1992